La teoria dei trigger: cosa ci accomuna ai nostri antenati?

La teoria dei trigger: cosa ci accomuna ai nostri antenati?

Settembre 24, 2018 Latest News 0
Tigre denti a sciabola

ATTENTI ALLA TIGRE!

Nella prateria è silenzio, interrotto soltanto dal frinire degli insetti. Ugùgga cammina solo, lontano dalla tribù. Il sole è a picco. All’improvviso, un fruscio. Poi di nuovo silenzio. Qualcosa si è mosso oltre gli arbusti. Un balzo prodigioso e un ruggito: è una tigre dai denti a sciabola! Ugùgga incrocia lo sguardo della bestia: il terrore gli strappa un urlo selvaggio. Disperatamente, ciecamente, fugge. A terra è restata la lancia, che la sua mano non ha avuto la forza di trattenere.

LA BORSA O LA VITA

«I soldi. Tutti. Subito. E ti prometto che torni a casa vivo.» Edward sente soltanto la punta della pistola premergli contro la schiena e il braccio del rapinatore stringergli la gola. L’illuminazione a gas sta combattendo, e perdendo, una disperata battaglia contro la pioggia. La stessa battaglia che Edward sta combattendo, e perdendo a sua volta, contro la propria volontà: reagire, fuggire, anche soltanto urlare è impossibile. Sarebbe sufficiente lasciare il denaro al balordo perché tutto finisca in un momento… Ma Edward, immobilizzato dal terrore, non riesce neanche a muovere un braccio.

RIVALITÁ A LAVORO

Carlo e Rodolfo non provano certo affetto l’uno per l’altro. Si rispettano, si rivolgono l’un l’altro con la dovuta cortesia, ma davvero non si amano. Entrambi sanno che dalla prossima riunione dipendono i destini dell’azienda. E, dunque, dei loro. Carlo prende la parola e, con sorpresa della platea, attacca frontalmente il rivale: poche parole, ma chiare e inequivocabili. Nelle quali – tutti i presenti lo hanno percepito – non manca un fondo di verità. Rodolfo sente il sangue salirgli alla testa. Perde totalmente il controllo. Si alza e afferra il collega per il colletto della camicia.

Decine di migliaia di anni, centinaia di migliaia di generazioni: l’essere umano è passato dall’essere una preda a conquistare lo spazio. Eppure, il suo cervello non è cambiato; di fronte a una minaccia, le tre reazioni istintive possibili restano tre:
> fuga
> “congelamento”
> lotta

In questi ultimi anni le neuroscienze l’hanno dimostrato oltre ogni dubbio: una minaccia nei confronti del nostro benessere – fisico, emotivo o sociale che sia – stimola le stesse aree del cervello (talvolta con la stessa intensità) attivate già nei nostri progenitori da un incombente pericolo mortale.

Ma quali sono queste “stesse aree”? Manco a dirlo, sono quelle più antiche, dette “primitive”: il sistema limbico. In 20 centesimi di secondo, l’amigdala riconosce come tale la minaccia e dà l’ordine di disporre “i rifornimenti per la guerra”: ossigeno e glucosio extra per rendere possibile l’attacco o la fuga.

Tale ossigeno e tale glucosio extra, però, sono in realtà sottratti alla corteccia prefrontale, sede del pensiero razionale. Il risultato? Più carburante all’istinto, meno al ragionamento. Il che è un bene vitale se si sta fuggendo da una belva inferocita, ma un male se si sta discutendo con un collega, con un familiare o con un cliente.

Se vi state chiedendo se non sia possibile controllare in qualche modo questi meccanismi, la risposta è sì. David Rock ha identificato cinque domini fondamentali che scatenano (come altrettanti detonatori: “trigger” in linguaggio tecnico) le nostre risposte a una minaccia. Essi sono status, certezza, autonomia, relazione e giustizia.

Vediamoli uno per uno.

  1. Status è l’esigenza che sia rispettato il nostro posto nella gerarchia del gruppo al quale apparteniamo.
  2. Certezza è l’esigenza che non vi siano ambiguità o zone d’ombra a proposito di informazioni, cambiamenti e aspettative.
  3. Autonomia è l’esigenza di poter essere liberi nelle nostre scelte e nelle nostre azioni.
  4. Relazione è l’esigenza di sentirci parte integrante del gruppo al quale apparteniamo e di essere riconosciuti come tale.
  5. Giustizia è l’esigenza di essere trattati in modo equo e che lo siano anche gli altri intorno a noi.

Questi cinque “driver del comportamento sociale” non funzionano soltanto in negativo, ma anche in positivo: per esempio, un elogio da parte di un superiore incrementa lo status e veicola benessere nella persona elogiata, la stessa che vivrà frustrazione e stress in caso di un richiamo.

La ricerca neuroscientifica ha inoltre dimostrato che, per esempio, l’emarginazione o l’esclusione – in un gruppo, dai processi decisionali, … – attivano le stesse regioni cerebrali del dolore fisico; o, ancora, che basta la sola percezione di aver accresciuto il proprio status per incrementare di conseguenza il rilascio di dopamina, serotonina (la “molecola della felicità”) e testosterone (che dà sensazione di forza e fiducia), abbassando per di più i livelli di cortisolo e quindi di stress.

Conoscere questi detonatori è l’antidoto per disinnescarli e – in positivo – per utilizzarli a nostro favore.

Ricordiamocelo:

il cervello lavora per la sopravvivenza dell’individuo, ed è quindi “programmato” per minimizzare le minacce e massimizzare le ricompense (Evian Gordon).

Imparare a riconoscere i detonatori in se stessi e negli altri, consente di aumentare le performance e di migliorare le proprie relazioni interpersonali, lavorative e non, e ci guadagneremo in razionalità ed equilibrio.

E tu? Hai mai osservato una reazione di fuga, congelamento o lotta da parte di un tuo collega sul posto di lavoro? Quali sono i “trigger” ai quali sei più sensibile?

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